LUCE DEI MIEI OCCHI recensioni di Silvio Danese Lietta Tornabuoni Tullio Kezich Roberto Nepoti Maurizio Cabona Dario Zonta Enrico Magrelli Claudio Carabba |
Il Giorno (5/9/2001) Silvio Danese Mentre Bertolucci oggi promuove la moglie regista Claire People con Il trionfo dell'amore, ieri Giuseppe Piccioni ha suggerito la guerriglia sentimentale per "la sconfitta del disamore", nel primo film italiano in concorso a Venezia 58, Luce dei miei occhi. La sentenza della sala degli accreditati è contrastata. Intimo e necessario, stilisticamente intonato ai volti puri e scoraggiati dei personaggi, certo non è un film che si digerisce con un applauso e si respinge con una bordata di fischi. L'anno scorso, per dire, l'accoglienza spedita e allegra di La lingua del Santo si rivelò un fuoco di paglia, soprattutto se pensiamo ai risultati di botteghino. Luigi Lo Cascio, tolti i jeans ribelli dei Cento passi, è Antonio, autista schivo ed educato per una ditta di limousine. E' un lavoro che asseconda la sua timidezza e la sua refrattarietà alle scelte: decidono gli altri dove andare. Una voce fuori campo legge brani di un immaginario romanzo di fantascienza nel quale il protagonista Morgan diventa l'alter ego morale di Antonio, faro di coraggio in un mondo mitico staccato da terra. Questo distacco, che Piccioni persegue scenograficamente scegliendo una città astratta (zone ben sezionate di Roma), si scontra con i problemi concreti di Maria, ragazza madre proprietaria di un emporio di surgelati (metafora sentimentale anche troppo evidente) di cui si è innamorato e che decide di proteggere a sua insaputa, fornendo servizi allo strozzino fagocitatore delle risorse del negozio (Silvio Orlando con la barba fa il giusto ribrezzo). Con l'ansia per la figlia da seguire, le preoccupazioni economiche e affettive (c'è un altro uomo) e l'istinto di fuga dalla disponibilità dell'autista, emerge la vera figura tragica del film, a cui Sandra Ceccarelli dà energia e verità, una donna segnata dall'inquietudine e dalla fragilità dell'esistenza. E' lei la "persona" che incontriamo o che siamo. La lieta fine arriva nella sotterranea ricostituzione di un embrione familiare. Nell'insieme di pregi (la recitazione, il girato, la musica di Luigi Einaudi, il calore freddo dei primi piani, eccetera) il film ha un difetto che lo attraversa e lo determina: la programmaticità emotiva di fondo, quell'umore di perdita e impotenza, di scoramento e comprensione che, ben vero, è però già stabilito nel livello e nella misura, limitando le scoperte dello spettatore. Il quale però da parte sua non dovrebbe commettere l'errore imperdonabile di evitare il film. |
La Stampa (5/9/2001) Lietta Tornabuoni |
«Luce dei miei occhi» di Giuseppe Piccioni, primo film italiano a
Venezia 58, ha bei personaggi toccanti, sociologicamente bene identificati,
recitati con efficacia: ma storia e film non ci sono, nella sceneggiatura
male elaborata. (...) In «Luce dei miei occhi», Silvio Orlando è ammirevole
in una parte di criminale sfruttatore della gente di colore, strozzino,
sadico e imperioso, però con vertigini di malinconia, di ricerca d’amicizia,
d’amore per i libri e per il ballo; Luigi Lo Cascio («I cento passi») recita
bene (con la voce a scatti dei palermitani quando parlano italiano) un
autista privato senza ambizioni, con la memoria avventurosa dei racconti di
fantascienza dell’adolescenza, educato, generoso, rassegnato; Toni
Bertorelli presta la sua faccia asciutta e straordinaria, da padre e insieme
da delinquente, a un personaggio minore. |
Corriere della Sera (5/9/2001) Tullio Kezich |
Con quella faccia un po’ così, dietro alla quale nascondiamo il
disappunto quando un film non ci è piaciuto, siamo usciti l’altra sera dal
PalaGalileo ancora rintronati dalla musica sovrabbondante di «Luce dei miei
occhi». Se i registi strafanno con la colonna è segno che non si sentono
sicuri, come quando lo chef esagera in spezie nel timore che il piatto sia
sciapo. L’attesa pellicola di Giuseppe Piccioni si inserisce nella vena
sentimentale e buonista del collega Soldini, che con «Pane e tulipani» ha
fatto centro raccontando le ansie e le fughe di una casalinga inquieta. La
vibratile Sandra Ceccarelli appartiene alla stessa razza di femmine afflitte
da troppi problemi: un marito che se n’è andato, un negozietto di surgelati
senza clienti, un amorazzo stanco, una figlioletta che i nonni paterni le
vorrebbero strappare; e il peso di un debito mensile (ma questo si apprende
più avanti) nei riguardi di Silvio Orlando strozzino e gangster. Eppure il
candido autista Luigi Lo Cascio, un fanatico di fantascienza che parla di sé
come di un terrestre in missione su un altro pianeta, si infatua della donna
e per aiutarla segretamente si spreca a vantaggio del creditore in servizi
sempre più trucidi, incluso il taglieggiamento degli emigrati del Terzo
Mondo. Il tutto raccontato fra divagazioni, pause contemplative, carrellate
sui paesaggi e sugli ambienti. Gli attori si impegnano, ma i primi piani di
Lo Cascio sono ossessivi, la Ceccarelli è fotografata in maniera troppo
cruda e Orlando dopo tanti strepiti e minacce sparisce insalutato. Se questi
confusi personaggi riusciranno a toccare il cuore del pubblico, lo si
desumerà dagli incassi del weekend. Per ora «Luce dei miei occhi», pur non
privo di saltuarie illuminazioni, ci sembra un prodotto che dovrebbe tornare
in moviola. |
la Repubblica (5/9/2001) Roberto Nepoti |
Spesso i critici, a rischio di apparire sussiegosi, si lamentano per la
sciattezza con cui un film è stato prodotto. E allora perché un film come
quello di Giuseppe Piccioni, tutto fuorché sciatto, ci fa arrabbiare? E' ben
diretto, ben fotografato, interpretato con dedizione e bravura: eppure non
convince. Piccioni dice che i suoi personaggi sono naufraghi, gente con un
difetto di fabbricazione che la mantiene al disotto degli standard oggi
richiesti. Il tipo di personaggi che il regista ha saputo farci amare in
Fuori dal mondo. Non sono meno alla deriva di quelli i protagonisti di Luce
dei miei occhi: Antonio (Luigi Lo Cascio), giovane autista solitario che si
sente un alieno sulla Terra, al punto di perdersi in fantasticherie spaziali
(raccontate da un'invadente voiceover); Maria (Sandra Ceccarelli),
ragazza/madre indebitata e pronta a innamorarsi di chiunque non lo meriti;
perfino Saverio (Silvio Orlando), un delinquentello che sfrutta gli
immigrati con odioso cinismo e, tuttavia, afflitto da qualche segreto
tormento. Ma i "caratteri", stavolta, sono scritti in modo troppo
programmatico, così com'è tutta di testa l'esibita mestizia del film,
piccola epopea di vinti decisa a risultare struggente costi quel che costi.
Ed ecco che una Roma fredda come non l'avevamo mai vista, chiusa tra le luci
al neon di un negozio di surgelati e quelle livide di una pizzeria diventa
un posto fuori dal mondo, abitato da figurine disperate sì, ma con ben poca
carne e ben poco sangue addosso. Benché tutto - dalle panoramiche insistenti
alla musica malinconica, alla bimba solitaria in cerca di gatti smarriti -
si sforzi di aggredire l'apparato emotivo dello spettatore, è ben difficile
provare simpatia per Antonio, risolutamente votato al martirio, o
affezionarsi a Maria e alle sue nevrosi, liquidate in una battuta della
donna sulla propria infanzia che suona casuale come una buona metà dei
dialoghi. |
il Giornale Nuovo (5/9/2001) Maurizio Cabona |
Si intitola Luce dei miei occhi il film scritto e diretto da Giuseppe
Piccioni, che le voci del Lido danno come regista favorito di Nanni Moretti,
presidente della giuria della serie A1. Se avrà il Leone d'oro, ci saranno
proteste. Infatti buona parte della critica ha manifestato un rumoroso
dissenso alla fine della proiezione. Si tratta in effetti di un'occasione
sprecata. Colpa soprattutto del gratuito «inserto sociale» nella storia
sentimentale perno della vicenda. La colonna sonora di Ludovico Einaudi -
onnipresente come la voce fuori campo di Luigi Lo Cascio - peggiora le cose.
Colpa del musicista o dell'attore? No, del regista. La trama. L'autista Lo
Cascio (I cento passi) s'innamora della pescivendola - in surgelati - Sandra
Ceccarelli (Il mestiere delle armi). Lui è un solitario, lei è una frustrata
che ha una bambina, ma non più il marito, mentre i suoceri reclamano
l'affido della piccola, che la madre trascurerebbe, essendo alle prese con
un amore infelice e un usuraio (Silvio Orlando) metodico, che sfrutta, oltre
a lei, un gruppo di immigrati. Dalla pescivendola, l'autista ottiene subito
quel che ogni uomo vuole da una donna; ma sogna l'amore e quello lei glielo
nega. Per insinuarsi nella vita della Ceccarelli, Lo Cascio trova il modo
peggiore: diventarne lo scendiletto. Peggio, si fa assumere, e poi rischia
di farsi uccidere, dall'usuraio solo per aiutare lei. Così perde il lavoro e
vince il ruolo di «fidanzato in mancanza di meglio». E si sa che di peggio
c'è solo una malattia. Gli attori sono la forza, il soggetto e la regia la
debolezza di Luce dei miei occhi. Che ha i momenti migliori nella
definizione dell'autista, accanito lettore di Urania. Piccioni gli mette in
bocca le parole di un libro di questa collana, inventandolo ad hoc, la
storia di un certo Morgan vagabondo dello spazio. Citati anche, ma
esistenti, Ultimatum alla Terra di Robert Wise [1951), L'invasione degli
ultracorpi di Don Siegel (1956) e Ho sposato un mostro venuto dallo spazio
di Gene Fowler jr. (1959). Il Leone d'oro si potrebbe darlo a loro: sarebbe
tardi, ma sarebbe giusto. Perfino Piccioni dovrebbe essere contento. |
l'Unità (5/9/2001) Dario Zonta |
Realismo fantascientifico e Realismo politico. Commedia musicale e
musical di una commedia. Da Piccioni (Luce dei miei occhi) a Zhang Yang (Zuotan).
Da Youssef Chahine (Silence on tourne) a Peter Cattaneo (Lucky Break). Una
traversata lungo i mari delle sezioni. Una carrellata di generi e forme
diverse che ancora una volta permette di limitare i danni che singole
cinematografie perpetrano, incuranti dell'eredità trasmessagli, alla settima
arte. Il più atteso è anche il più deludente. Piccioni con Luce di miei
occhi mostra il limite dell'apertura di credito guadagnata con il precedente
Fuori dai mondo, omaggiato dal pubblico e da buona parte della critica, che
si era imposto per quella sorta di misura e modestia raggiunta nel
raccontare la storia di una suora alle prese con la vita. Ma di quella
misura e modestia ora non c'è più traccia. Prevale l'eccesso in un film che
vorrebbe essere minimale, come tutto il cinema italiano che non riesce a
pensare in grande, risultando invece pretenzioso e supponente. Piccioni con
Luce dei miei occhi é rimasto ancora fuori dal mondo e volutamente. I
personaggi del film, Antonio (Luigi Lo Cascio), autista appassionato di
letteratura fantascientifica, e di Maria (Sandra Ceccarelli) proprietaria di
un negozio di surgelati e madre in difficoltà della piccola Lisa, sono come
extraterrestri caduti sulla terra. Spaesati in un paesaggio straniante,
(Roma come non si è mai vista, livida, tesa, anonima, fredda) tentano di
sopravvivere: i primo compensando il vuoto della sua esistenza con i gesti
di un buon samaritano (solleva, senza dirlo, Maria dall'aggravio
dell'usura), la seconda svuotando la sua esistenza nel tentativo di
garantire tranquillità e sicurezza economica alla giovane figlia. Storie e
personaggi trascinati stancamente e con voluta ascensione poetica da una
regia ipnotica e gongolante che vorrebbe essere sospesa ma che rimane
frustrata dalle lunghissime sequenze cullate dalla ninna nanna delle onde
musicali del Nyman italiano, Ludovico Einaudi. Dialogh ingenerosi,
sceneggiatura lacunosa, recitazione impagliata, (Lo Cascio sembra il Piccolo
principe dei poveri, mentre Ceccarelli, decisamente più brava, non riesce a
restituire le potenzialità delle sue espressioni). A questi dati oggettivi
si aggiunge il peso non risolto di una ossessione, quella tutta personale di
Piccioni. Un film non è solo un fatto privato, il foro scuro dei propri
desideri. E' anche un fatto pubblico, qualcosa che esiste all'esterno, mentre
in questo caso la luce non è mai uscita darli occhi di Piccioni. Il mondo
che rappresenta è alieno, e questa è l'unica sua fortuna. L'immagine che
restituisce di questa Italia, così simile a quella morettiana de La stanza
del figlio,è tutta nella catarsi finale che coincide con la perdita della
bambina, data in affidamento ai nonni. Per questo Luce dei miei occhi
potrebbe compiere il Grande slam dei Festival europei. |
Film TV (11/9/2001) Enrico Magrelli |
Morgan sente di essersi allontanato troppo dalla Terra. E' finito,
davvero, fuori dal mondo. Ha perduto, per caso o per scelta, la rotta e, tra
le stelle, i pianeti e le meteore, legge e pensa. Soprattutto guarda con
tatto l'invasione degli ultracorpi infelici. Creature afflitte. Morgan è
l'alter ego di un immaginario romanzo di fantascienza che prende la parola e
la coscienza di Antonio (Luigi Lo Cascio), autista da due anni, arrivato in
una Roma di strade e palazzi grigi, dopo studi brillanti e con una lenta
retromarcia rispetto alle attese (degli altri) per un suo avvenire speciale.
Incontra Maria (ha gli occhi tristi e gonfi di Sandra Ceccarelli), madre di
una bambina, Lisa, padrona di un negozio di surgelati, squassata da una
passione infelice, piena di debiti, appesa al telefonino come a un
salvagente sgonfio, abituata a pensare a se stessa come a una nullità. Il
nuovo universo, in cui è approdato Antonio/Morgan, avvolto dalle tenebre o
appena rischiarato da una luce tra l'azzurro e il colore della cenere, (la
fotografia è di Arnaldo Catinari) è come sospeso. Privo di forza di gravità.
Per questo la durata delle immagini è diluita, sfora, è in controtempo, il
ralenti segmenta i movimenti (soprattutto dei volti e degli occhi in un film
dominato e sovrastato dai primi e dai primissimi piani) e il racconto lascia
fluttuare il pulviscolo atmosferico dell'incontro tra un uomo e una donna e
il loro rattrappito riconoscersi, trovarsi, accettarsi e amarsi. Questo
spaccato di un pianeta alieno è messo in scena ed evocato in punta di
macchina da presa (con sequenze e un montaggio avvolgenti), con quella
naturale non fluidità di qualcosa immerso in un liquido che scontorna e
ammorbidisce la forma delle cose, delle parole e del cuore. Pochi personaggi
(i viaggiatori, i clandestini, gli ospiti, gli intrusi) che hanno smesso di
chiedere e guardare la luna e sono accomunati dalla non appartenenza (a
stati d'animo e a stati di diritto), dallo spaesamento, dalla sfiducia,
dalla deriva e dall'amore imperfetto. Il cinema di Giuseppe Piccioni non
vuole e non sa essere allegro e gioioso, preferisce la malinconia, i mezzi
toni, le sfumature, l'incompiutezza dei personaggi, la struttura e le
atmosfere disforiche. Il film è trascinato (un moto a un non luogo che può
emozionare o irritare lo spettatore) dallo smarrimento di Antonio e Maria e
dalla loro non identificazione con un mondo, un destino. Un centro (nella
vita dei protagonisti e nel cinema italiano) in cui fermarsi non esiste. E
non ci sono neanche punti di arrivo. |
Sette (20/9/2001) Claudio Carabba |
La Mostra del Lido è una zona ambigua dove critici infuriati possono fischiare (che il Dio del cinema li perdoni) A.I. di Spielberg senza che nessuno eccepisca. Ma se qualcuno tocca un'opera italiana, subito si alzano proteste per l'intollerabile clima da corrida. E’ successo per Luce dei miei occhi, malinconica novella troppo «fuori dal mondo». Regista aggraziato, Giuseppe Piccioni sbaglia il copione, eccede in metafore e naufraga con gli inerti protagonisti (Lo Cascio e Ceccarelli), per altro premiati entrambi. Dopo il dibattito e le coppe (Volpi), anche gli incassi stanno andando bene. Le opinioni insomma divergono. E allora, dov'è il vile assalto, cos'è questa strana voglia di consenso collettivo? |
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