Luigi Lo Cascio nasce a Palermo il 20 ottobre.

Si diploma all’Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio D’Amico nel 1992,  con un saggio su Amleto  diretto da Orazio Costa.

Fa del cabaret  e nel 1988 è in teatro con  Federico Tiezzi per  una piccola parte in "Aspettando Godot" di Samuel Beckett.

Lavora poi in teatro con Patroni Griffi, Quartucci, Cecchi.

Ottiene la parte per il film di Marco Tullio Giordana "I cento passi.
Ha quindi girato  "Luce dei miei occhi" di Giuseppe Piccioni, “Il più bel giorno della mia vita” di Cristina Comencini,  "La meglio gioventù" di  Marco Tullio Giordana, “Buongiorno, notte” di Marco Bellocchio, “Mio cognato” di Alessandro Piva

E' juventino.
 

autoritratto

Siamo stati una famiglia felice: cinque fratelli e una nonna che abitava con noi. La sera, quando si cenava, c'era leggerezza e l'odore delle sventure navigava lontano.

Mi è sempre piaciuto studiare.

Ero il più basso di tutta la scuola, anche delle femmine.

Dal mio bisnonno in poi c'è stato sempre qualcuno che ha avuto a che fare con la follia e la medicina.

Ho uno zio che fa lo psichiatra, e quando ero bambino mi portava alle partite di calcio con alcuni suoi pazienti. Ho conosciuto da vicino queste persone che hanno una grande sofferenza dell’anima, capaci anche di toccare grandi profondità rispetto a noi che troppo spesso siamo legati alle cose più superficiali della vita.

 
 
Quando capitano servizi fotografici per le riviste e mi dicono "mettiti questo vestito d'Armani", io riesco ad avere, anche se potrà sembrare presuntuoso, la forza di essere cacacazzi, "no, non me lo metto."

Ho fatto cabaret paraponziponzipè con un gruppo che si chiamava le Ascelle, tutti amici con cui ero nella stessa squadra di atletica a Palermo.

Una sera Federico Tiezzi mi vede e mi propone una particina in "Aspettando Godot".

In "Aspettando Godot", recitando al Quirino, al Carignano, ma da studente di medicina, ho subito una fascinazione per il mondo del teatro.

Ho fatto l'Accademia d'Arte Drammatica Silvio D'amico, e presentai come pezzo d'ammissione un brano di Petrolini che si chiamava "Roba seria": un collage fatto con tante poesie, da Dante, Foscolo, Carducci, messe tutte in sequenza a formare un discorso unico che provoca un grande nonsense, dove si prende in giro non tanto la lirica, ma la tradizione attoriale italiana.

Un giorno mi telefona mio zio, Luigi Burruano, l’attore che ne "I cento passi" fa mio padre. E mi dice: “Vieni subito qui, sto pranzando con Marco Tullio Giordana che è alla ricerca di un attore per il ruolo di Peppino Impastato, e non riesce a trovarlo".

Oltre a mio zio anche un cugino paterno che si chiamava Elio Lo Cascio aveva lavorato con Renato Rascel,un bambino prodigio come Salvatore Cascio di "Nuovo Cinema Paradiso". Negli anni '50 aveva fatto un film bellissimo che si chiamava "La Spiaggia", con Enrico Maria Salerno, Alida Valli, poi si trasferì a Roma per lavorare e cambiò totalmente genere: ora è professore d'università.

La gloria familiare era Bruno Lo Cascio, un campione di "Lascia o raddoppia?".

Dopo l'uscita de "I cento passi" ho ricevuto varie sceneggiature. Ho scelto "Luce dei miei occhi" perché mi ha colpito, al di là della bellezza della storia, la possibilità d'interpretare  un personaggio agli antipodi di Peppino Impastato. In questo film, parlo pochissimo.

Il provino? Mah, il primo credo catastrofico. Infatti io avevo la sceneggiatura sotto braccio e  Piccioni, alla fine mi ha detto Sì, sì, ci risentiremo comunque questa la prendo io" e mi ha sfilato la sceneggiatura da sotto il braccio, e là ho capito che era andata male.

"Il più bel giorno della mia vita" racconta l'amore e l'eros all'interno di una famiglia. Claudio ha un problema legato amoroso alla difficoltà di confessare, anzi di urlare, al mondo la sua omosessualità.

E' ora di finirla con i pregiudizi. Un omosessuale è un personaggio come un altro.

Ho lavorato bene ne "La Meglio Gioventù" perché ho trovato amici e colleghi con la stessa esperienza di palcoscenico. Considero una vittoria che, tra registi di cinema sia caduto il pregiudizio nei confronti degli attori di teatro.

Quando Bellocchio mi ha chiesto di vestire i panni del sequestratore di Moro, ho cercato di ritornare indietro con la memoria. Ero su un autobus, tornavo da scuola e intuii che era successo qualcosa di molto grave.

Ho provato a studiare la grammatica barese, perché esiste, a ascoltare voci registrate, ma non c'è stato verso.

Qualunque sia il proseguimento del mio mestiere d'attore non potrò che essere legato sempre alla figura di Peppino Impastato.

Mi piace Bunũel, (credo che il primo film di cui ho memoria sia "Il fascino discreto della borghesia")...Amo molto Elio Petri, Hitchcock. Comunque Orson Welles è l'artista che mi attira di più per la complessità della sua figura.

Amo il teatro pirandelliano, la tragedia greca, ma anche Beckett e Brecht.

Per leggere devo avere tempo per segnare i passi, trascriverli sul computer, studiarli nel vero senso della parola. Se devo scegliere tra Kafka e Dostoevskij e un autore contemporaneo, alla fine opto sempre per i primi. Sarà perché nella mia vita l'esperienza della lettura è arrivata tardi nella mia vita, e ho ancora tanto da imparare.

Ascolto melodrammi, con una netta preferenza per l'opera di Verdi.

Possiedo un ritmo naturale che mi fa preferire una partitura a un bel quadro e che mi dà il passo giusto anche per recitare.

Non mi piacciono le persone allegre a ogni costo. Preferisco allora quelle tristi a ogni costo, perché almeno c'è qualcosa di più reale: non è tutto bello.

Tengo la televisione sempre accesa, come una finestra sul mondo: a volte ci sono dentro, altre volte no.

Ho costruito la mia libertà in relazione agli altri. Una sorta d'accordo, di compromesso. Di cui non abuso.

Il corpo dell'attore va usato come fosse un violino, è una questione di tecnica riuscire a ottenere quella particolare nota.

Del cinema apprezzo molto la sintesi.

Chi vale davvero non deve ostentare niente.

Mi piace la vita girovaga, gli alberghi, gli aeroporti, i luoghi anonimi.

Abito a Roma da tanto tempo, ma la Sicilia me la porto dentro.

 

 

 
 

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