MIO COGNATO

recensioni di

Aldo Fittante
Alessandra Levantesi
Paolo D'agostini
Silvio Danese
Maurizio Porro
 

Film TV (7/10/2003)
Aldo Fittante
C'è una gran voglia, in questo momento di rinascita nel e del cinema italiano di commedia all'italiana. Mio cognato, seconda prova del pugliese Piva dopo la sorprendente Lacapagira, riparte addirittura dal Sorpasso di Dino Risi. Due uomini e una macchina. Uno è debordante, spavaldo, gradasso, volgare, ambiguo. L'altro è timido, impacciato, introverso, inesperto, "ragioniere" nell'animo, dottore in goffaggine. Per le vie di una Bari vecchia e fatiscente (bello lo squarcio iniziale, da contrapporre con quello di Taranto nel Miracolo di Winspeare), i cognati si confrontano, si annusano, si studiano, si odiano, si picchiano,proiettando sullo schermo modelli contemporanei confusi e infelici, smarriti e depressi. Puntuale la rappresentazione degli sfondi, veri e propri laghi inaciditi dal finto benessere. Meno efficace il rapporto scostante dei protagonisti, che paiono subire più che le indecisioni di Piva, la sua curiosa non voglia di affondare il coltello nella piaga. forse una vena dichiaratamente grottesca avrebbe giovato maggiormente. Bravi Lo Cascio (di più) e Rubini.

La Stampa (5/10/2003)
Alessandra Levantesi
Vito (Luigi Lo Cascio), timido e modesto impiegatuccio di Bari, ha sposato la sorella di Toni (Sergio Rubini), assicuratore imbroglione e volgare che in famiglia si comporta da capo decidendo ogni cosa. Vito non sopporta l'esuberanza comandona di Toni e Toni, che traffica con la malavita e ne condivide i maschilisti parametri di giudizio, considera il mite Vito un mezzo uomo. Diversi come il giorno e la notte i due sembrerebbero fatti per non incontrarsi mai, ma il destino ha stabilito altrimenti: i parenti purtroppo non si scelgono, capitano. Con «Mio cognato», in dialetto pugliese come la sua opera prima «La capagira», Alessandro Piva firma un notevole secondo film (prodotto dalla Rai) su cui è riuscito a incidere una salda cifra autoriale, nonostante il budget ben più consistente rispetto alle poche centinaia di milioni del precedente. In molti all’anteprima al festival di Locarno, hanno rilevato che il rapporto Rubini/Lo Cascio pare ritagliato su quello di Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant in «Il sorpasso» (1962). Anche qui abbiamo da una parte un trascinatore estroverso e cinico, dall'altra un giovane passivo e malinconico che subisce il pericoloso vitalismo del compagno restandone fatalmente travolto. Però contesto, storia e motivazioni sono differenti. Tutto parte dal furto dell'utilitaria nuova di Vito, che Toni decide di ritrovare. Ecco dunque i cognati addentrarsi nei luoghi più reconditi della città a bordo della fiammeggiante decapottabile di Toni. Risulta presto chiaro che per uno sgarro a un certo boss, costui è caduto in disgrazia e che il furto rappresenta un avvertimento. Sbalordito di fronte allo sconosciuto panorama che si schiude nella notte ai suoi occhi di piccolo borghese, Vito va dietro a Toni in una sorta di affascinato stupore. Piva, in un ben calibrato alternarsi di neri e tinte forti, sa conferire un'allarmata irrealtà al suo affresco di sottobosco barese. In questo paesaggio stralunato, abitato da guaglioni di malavita impersonati in chiave grottesca da locali (attori e no), spicca soprattutto la singolare coppia Rubini/Lo Cascio, che funziona a meraviglia e rappresenta un indiscutibile punto di forza del film.

la Repubblica (3/10/2003)
Paolo D'agostini
Il viaggio non è da Roma a Castiglioncello ma sempre un viaggio è: attraverso una Bari notturna e malavitosa. Non dura due giorni e una notte, ma una sola notte. Non si corre sulla fettuccia della statale Aurelia ma per le strade a volte anguste a volte ampie del capoluogo pugliese: ma sempre su una spyder si corre. E quale poteva essere il simbolicamente più calzante aggiornamento dell'Aurelia Sport supercompressa se non una sfacciata e cafona Saab rosso fiammante? Insomma, il regista all'opera seconda Alessandro Piva non lo può proprio smentire che Mio cognato è un Sorpasso quarant'anni dopo (41 per la precisione). Ed è forse il miglior tentativo che sia stato mai fatto di far rivivere il capolavoro di Dino Risi. Con un gran vantaggio sull'originale. Se per un verso manca Gassman, Rubini è al suo top e si prodiga per sostituirlo più che degnamente nella parte dell'assicuratore Toni, maneggione che ha scherzato col fuoco e ha fatto uno sgarbo che non doveva fare a qualche amico protettore, per l'altro verso l'eccezionale Luigi Lo Cascio rappresenta una scelta ben più calibrata e ragionata di quanto fu con Trintignant, notoriamente pescato all'ultimo momento a riprese iniziate. Mite impiegato e padre di famiglia Vito, il "cognato", impara via via che la notte brava scorre alla ricerca della sua auto rubata, a divertirsi e ad apprezzare il simpatico e violento cialtrone. Finisce come non può non finire: male. Indovinate chi resta vittima degli intrallazzi di Toni?

Il Giorno (4/10/2003)
Silvio Danese
Seconda prova di Piva, cineasta quarantenne della scuola pugliese. Tre anni fa Lacapagira, peripatetica avventura nei bassifondi del porto con camera a mano e nichilismo barese nel cuore, lasciò il segno tra gli esordienti. Questo è il primo film «adulto», prodotto con i soldi di Medusa e Rai Cinema, e interpretato dai migliori attori italiani, una strana coppia azzeccata per un buddy movie pugliese a sfondo sociale: Luigi Lo Cascio è il cognatino perbene di Sergio Rubini, assicuratore-faccendiere di una Bari di piccoli boss e consorterie, detto «il professore». Inscritto in una giornata e una notte, trascorse in giro con la Saab cabriolet del «professore» a cercare l'auto rubata del cognatino (ma è uno sgarbo, un regolamento di conti), un po' telefonato come si trattasse di «Il sorpasso» dello Ionio, qualche volta a rischio di tipizzazioni regionalistiche, è una commedia che cerca di sfruttare al massimo la povertà del soggetto, riuscendo a lasciare lo scorcio di un'Italia chiusa in se stessa, in un regime di piccoli poteri localistici e delinquenziali. Vale una visita.

Corriere della Sera (4/10/2003)
Maurizio Porro
Continua la nouvelle vague del cinema barese. Dopo il miracoloso Miracolo ecco l'opera seconda di Alessandro Piva, regista della Capagira e ora di Mio cognato, una acida commedia notturna, violentemente radicata nel territorio e nel dialetto che, per la struttura a due caratteri contrapposti, ricorda Il sorpasso, anche se l'autore cita Ladri di biciclette. Perché si ruba un'auto, nel giorno di un battesimo, e la vittima è un mite travet che chiede aiuto al cognato esuberante, truffaldino, cialtrone, legato ai loschi trafficanti notturni di Bari: Sandokan, Saddam, Marlonbrando. Sarà un viaggio di iniziazione nella peggio gioventù in cui i due da nemici diventano amici, dopo esser passati dal pronto soccorso. L'apparizione profetica dei limoni annuncia che qualcuno la pagherà. E cara. Piva ha un'estrema facilità narrativa e si immette, con un road movie decappottabile, nel solco della commedia all'italiana, dove la città-società con le sue ferite aperte nell'amoralità con plusvalore è importante. Soprattutto ai fini della caratterizzazione psicologica di due classici prototipi che Sergio Rubini, quasi barese, e Luigi Lo Cascio, siciliano, sposano con magistrale vitalità, simpatia, sintonia, tanto da formare una strana, inedita, vincente coppia in cui è utile riconoscersi. Costellato di un mosaico di impressioni e sensazioni, il racconto frena e poi vira verso un finale tragico forse evitabile, ma in cui Piva dimostra che sorride ma non scherza: il pericolo c'è.
 
 

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