La Meglio Gioventù

AldoGrasso
Goffredo Fofi
Ruggero Guarino

Vizi e virtù nel film di Giordana
di Aldo Grasso

http://www.corriere.it/edicola/index.jsp?path=SPETTACOLI&doc=GRAS
SO

Al di là degli esiti o delle intenzioni, La meglio gioventù (Raiuno, domenica  e lunedì, ore 21, quattro puntate) è un’operazione importante, la più importante fatta dalla Rai negli ultimi anni. È curioso che vada in onda
proprio ora, in un contesto sfavorevole (ma forse è ciò che rende «eroica» l’operazione e l’esalta oltre i meriti). Non c’è dubbio, La meglio gioventù , scritto da Sandro Petraglia e Stefano Rulli, diretto da Marco Tullio
Giordana, è più interessante come progetto che come prodotto in sé: è la fiction dell’Ulivo (il sogno ultimo di Siciliano o di Zaccaria), è la visione della storia anti-Bernabei (non più santi, eroi, uomini eccezionali ma gente
ordinaria), è la prima, compiuta mitografia del ’68. Tra l’altro, a differenza di altri film, la fiction di Giordana è ben diretta e ben interpretata, con un cast di tutto rilievo: Luigi Lo Cascio, Alessio Boni, Valentina Carnelutti,
Lidia Vitale, Fabrizio Gifuni, Claudio Gioè, Jasmine Trinca, Andrea Tidona e soprattutto una superba Adriana Asti. Ideale continuazione de La vita che verrà di Pasquale Pozzessere, La meglio gioventù è il grande affresco
dell’Italia dall’alluvione di Firenze alla contestazione, dal terrorismo alla lotta alle istituzioni repressive, dall’uccisione di Falcone e Borsellino a Tangentopoli. A tratti commovente, a tratti didascalica, l’opera ha un
inestirpabile vizio di fondo: è vero che racconta una storia generosa di
idealismi, di speranze, di illusioni ma è anche vero che la racconta con la coscienza di essere dalla parte della ragione; e questo fa sì che i dubbi si risolvano «solo» in nevrosi, in paranoie di «compagni che sbagliano», in
giustizialismo. È il punto di vista di una certa borghesia colta, benestante, progressista.
www.corriere.it/grasso



MACCHÉ PASOLINIANO È TROPPO CONSOLATORIO
di Goffredo Fofi
Dicembre, 2003
http://ilmessaggero.caltanet.it/view.php?data=20031208&ediz=01_NAZIONALE
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Nella vecchia edizione di La meglio gioventù (Biblioteca di Paragone, 1954) il compilatore del Canzoniere italiano (1955) metteva in epigrafe a una delle sezioni un canto di alpini diventato, nel ’43-45, di partigiani: «Sul ponte di Perani, bandiera nera/ l’è morto un alpino nel far la guerra./ L’è morto un alpino nel far la guerra/ la meglio gioventù l’è sotto terra». Canto disperato, dove il meglio muore ed è sepolto, e chi sopravvive arriva fino a  esclamare «Pietà l’è morta!». Mi è sembrato abusivo chiamare La meglio gioventù un film lungo melodramma seriale per la tv che ha raccontato una gioventù certamente entusiasta e certamente sconfitta, ma molto meno tragica di quella cui si riferiva il poeta di Casarsa. Girato con grande perizia da Giordana, interpretato da un gruppo di attori bravi e ben diretti (Lo Cascio, Bergamasco, Gifuni sopra tutti), il suo copione derivava da una raffinata operazione di costruzione mediatica in cui mescolare le esigenze della “comunicazione” con quelle di una qualche sincerità politica e generazionale in funzione di un ascolto che si sperava massiccio. Sincerità delicata e fragile, perché buone analisi e testimonianze dell’epoca difettano, e a raccontare quegli anni si è, in privato, in milioni, ma in pubblico pochi, gli “accreditati” dalla loro prepotenza e carriera, insomma i leader. Fanno eccezione, ora, gli studi di Guido Crainz (Donzelli). Dall’alluvione di Firenze agli Ottanta pacificati e craxiani, passando per ’68, ’69, lunghe marce fragili attraverso le istituzioni alla Basaglia o Maccacaro o Mario Lodi, deliri partitici neoleninisti o tardoleninisti, ritorno a un ovile Pci addomesticante, e ormai timorato di tutto, deviazioni e deliri terroristici purtuttavia dentro quella stessa famiglia (come onestamente il film dichiara e dimostra), e soprattutto dei “ritorni all’ovile” o “a casa” di una specie nuova: ritorni o approdi a quel “privato” dove la vita è davvero bella per chi ha e può e non si pone troppi problemi, sapendo che “un mondo diverso” sarà anche possibile, ma a volerlo sono proprio pochini, altro che nel ’68, perché ora non si tratta più di “diritti” ma di doveri e non di arricchirsi ma di impoverirsi per scelta, se si hanno ideali e se si crede nella responsabilità di ciascuno verso chi non ha, altrove o qui, e verso il futuro.

La cosa più indigesta del film è in definitiva la sua battuta conclusiva, “tutto è bello”, che non solo ricalca altre ipocrisie di successo trionfale proprio perché tali, ma sembra quasi parodiare il tragico finale del Curato di campagna di Bernanos e di Bresson che, morente, e dopo aver visto e patito tutta la comune abiezione dell’uomo, tuttavia dice che “tutto è grazia”. È un facile e consolatorio, La meglio gioventù , ma non lo direi un film insincero. È forse il meglio che si può avere da una tradizionale componente della cultura italiana, che personalmente non ho mai amato e che chiamo “borghesia comunista”, un nonsenso che ce ne ha fatte vedere e patire troppe, di ipocrisie, perché si possa perdonarla anche ora che è sopraffatta da ipocriti più abili e molto decisi. Si è trasformata, ha recuperato molto ’68, è arrivata al potere e poi l’ha perduto anche per sua insipienza, per sua non-convinzione, per la non-differenza sostanziale del suo messaggio da altri meno ambigui e più brutali. La prima parte del film è la visione della storia recente che quella borghesia ha, con i suoi cineasti; la seconda torna decisamente ai valori o disvalori del privato, tal quale i suoi nemici. Proprio in questi giorni il settimanale “Diario” ha stabilito una prima serie di nomi di quella “meglio gioventù”, usando lo stesso titolo del film, cioè la stessa citazione pasoliniana. Pasolini, credo, non avrebbe apprezzato molto né il film né questo fascicolone di “buoni” che si sono rimessi da soli in riga con molta facilità meno i pochi davvero perdenti, gli scomparsi, i “sotto terra”. I reduci non mi esaltano, se cantano solo il passato perché non hanno voglia di esser giovani ancora, di nuovo e di nuovo, in questo grigio e pesante e conformista presente. Lunedì 8 Dicembre 2003


MARTIRIO DEL REGISTA DI SUCCESSO
di Ruggero Guarino
6 Dicembre, 2003
http://www.iltempo.it/
guarini.r@virgilio.it

Gentile Marco Tullio Giordana – «La meglio gioventù», il film in cui lei ha rievocato le imprese del Sessantotto, arriva dunque in televisione. La prima parte andrà in onda domani. Le altre seguiranno a ruota. Tutta la stampa ha annunciato l’evento coi toni commossi che impiega soltanto nelle grandi occasioni civili. Ma lei lo sta festeggiando belando come un capretto portato al macello.

Del resto anche l’estate scorsa, quando il film, che dura sei ore, favorito dal pompaggio di una strategia pubblicitaria assolutamente senza precedenti nella storia del nostro cinemino nazionale, fu proiettato per molte settimane nelle sale di tutte le città italiane, lei partecipò al generale tripudio come se invece di festeggiarla la volessero scannare.
Elette squadriglie di sindaci, assessori, provveditori, presidi e professori si impegnarono concordemente nel drenaggio delle scolaresche verso le sale che proiettavano il film.

Armate di cinecritici si associarono estaticamente nell’orchestrazione di un’ininterrotta sinfonia di fremiti, sdilinquimenti e gridolini di giubilo. Battaglioni di storici, sociologi, psicologi, politologi e opinionisti, travolti dall’eccitazione, espressero il loro entusiasmo inondando i giornali di dotti commenti. Ma lei non fece che piagnucolare.
L’opera piacque molto anche ai distributori forestieri.

Ragion per cui si previde che in molti paesi europei, specialmente in Francia e in Germania, avrebbe presto trovato un pubblico di vecchi e nuovi sessantottini disposti a giudicarla un capolavoro, una critica proclive all’entusiasmo e tanti ormai attempati maestrini del pensiero sessantottesco pronti a scorgervi un simpatico incoraggiamento a tornare rievocare ancora una volta le loro leggendarie giovinezze. Ma sembra che nemmeno questo potrà incoraggiarla a interrompere le sue lamentazioni.
La più recente espressione di questa sua vocazione alla lagna sono i sermoncini vagamente iettatori con cui anche in questi giorni, ossia proprio alla vigilia della messa in onda della prima parte del suo film, si è puntualmente rimesso a frignare. Mi consenta di citarne qualche passo:
«Percepisco segnali spaventosi in tutto quello che oggi succede in Italia ... Quello che più m’indigna è il silenzio di tanti intellettuali che subiscono senza ribellarsi pericolosi limiti alla loro libertà d’espressione. Anche sotto il fascismo molti intellettuali erano conniventi e persino servili, ma pensavo che un atteggiamento simile non si potesse ripetere. Trovo scandaloso che si derida chi oggi parla di regime: se c’è una parola meno impressionante per descrivere quello che sta succedendo la usino.

Il motivo della sua lagna è dunque il regime. Non quello fascista di ieri ma quello ancor più fascista di oggi. Nel quale lei vede il suo più feroce nemico. E in questo non le posso dare torto. Giacché mentre il fascismo di ieri, vietandole di fare i film che fa, di dire le cose che dice, e forse anche di pensare quel che pensa, le avrebbe impedito di farci sapere chi è, il fascismo di oggi, permettendole di pensare, dire e fare tutto quello vuole, le impone di manifestare, un giorno sì e l’altro pure, la sua sciocca, tartufesca, smisurata sfacciataggine di vecchio bambino ingordo di lotta, successo e martirio.

 

 

 

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