LA MEGLIO GIOVENTU'  (pagina 2)

intervista con Lo Cascio e Boni

Non ho nostalgia, il '68 l'ho preso in faccia
di Marcello Veneziani

«La meglio gioventù» vista in famiglia:
Roberto Vecchioni si confronta con i figli sul ' 68.
di Polese Ranieri



 
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recensioni televisive


Lo Cascio e Boni raccontano ironicamente Nicola e Matteo *

Boni. Chi sei tu?
Lo Cascio. Io?
Intervistatrice. Senza fare gli scemi... Oppure vogliamo fare gli scemi?
Lo Cascio.No no no
Intervistatrice. Facciamo gli scemi.
Lo Cascio. Già ci siamo scemi..
Intervistatrice.Però il film è seriss...è straserio.
Lo Cascio. Appunto! Mettiamoci facce da funerale...
Boni. Ma non didascaliziamo. Invece noi facciamo una bella figura da pagliacci.
Lo Cascio. Il problema è che diciamo sempre le stesse cose.
Intervistatrice. Giusto, giusto, bravo...Allora ognuno dice l'altro
Boni. Lui non dirà mai quello che io ho in testa.
Lo Cascio. Poi io approfondisco troppo...
Intervistatrice.Fratelli? Perché fratelli?
Lo Cascio. Parlo meglio io e sembra che il suo personaggio è più importante. Capito? Quindi non facciamo confusione.
Intervistatrice. Il suo personaggio è più importante!
Lo Cascio. Il suo personaggio è più importante?
Intervistatrice. Eh... sì...
Lo Cascio. Da che punto di vista?
Boni. Da quale punto di vista?
Intervistatrice. Non te ne sei accorto?
Lo Cascio. Perché è il più bello?
Intervistatrice. T'hanno fregato...
Lo Cascio. Ma se io sono il tessitore che vede...
Intervistatrice. Ma no, perché è quello più tormentato.
Lo Cascio. E chissenefrega. Non se ne può più
Boni. E' Più accattivante
Intervistatrice. Ti sta riprendendo.
Lo Cascio. Mi sta riprendendo? Il mio personaggio è quello di Nicola.
Intervistatrice. No, è meglio quando state un po' più rilassati.
Boni. No, no, lui è così, sta rilassato così. Invece prima fa il pagliaccio.
Lo Cascio. La stupidità m'appartiene.
Intervistatrice. Rilassati.
Lo Cascio. Il personaggio di Nicola...
Intervistatrice Credi che il tuo personaggio sia più importante?
Boni. E' importante...
Lo Cascio. E' più importante perché c'è in tutte e quattro le parti. Settanta, sessanta, ottanta, novanta, c'è sempre
Boni. Sempre.
Lo Cascio E' il tessuto connettivo. Il tuo invece è un personaggio marginale, direi quasi.
Boni. Si estingue.
Intervistatrice. Tu sei il protagonista?
Lo Cascio. Io sono assoluto il protagonista di questo e di tutti i film di Cannes, credo praticamente.
Boni. In assoluto.
Lo Cascio. Riverbero con la mia interpretazione. Do lustro a tutto il cinema europeo.
Boni. Questo devo dire è vero. Ieri sera sono andato a vedere la prima del film di Ozon.
Lo Cascio. E si parlava di me.
Boni. No, non mi facevano entrare. Ho detto il suo cognome, Lo Cascio... sulla Croisette, incredibile, m'ha fatto entrare...
Lo Cascio. Sarà stato qualche siciliano che c'è qui a Cannes. Dunque il mio personaggio è il personaggio di Nicola...
Intervistatrice. E' uno psichiatra.
Lo Cascio. Il personaggio è uno psichiatra.
Boni. E' uno psichiatra?
Lo Cascio. Sì, faccio lo psichiatra. Direi che il personaggio di Nicola è un personaggio... ha una curiosità contenta, ha una
curiosità vivace, che è quello che lo porta poi a fare lo psichiatra, cioè ha desiderio di conoscere il pensiero degli altri.
Boni. Sì, sono due personaggi diversi, forse due facce della stessa medaglia, come diceva Marco Tullio Giordana e cioè insieme
costituiscono proprio un equilibrio perfetto. Cerca delle regole, Matteo, sbagliando pure lui, secondo me, per raddrizzare un
po' tutta la confusione interna che ha.

*da  tamtamcinema the daily of italian cinema
http://www.tamtamcinema.it/articolodossier.asp?ID=1028&lang=ita



il film visto da destra:

Non ho nostalgia, il ' 68 lo ho  preso in faccia

di Marcello Veneziani*

CARO Direttore, non ho fatto in tempo a prendere il ’68 che mi passò davanti mentre avevo i calzoni corti e frequentavo la scuola dell’obbligo. Ma sin da allora pensavo che i contestatori non fossero la meglio gioventù. Ricordo che nel ’68 scrissi un tema per deplorare i sessantottini che lanciavano le uova marce alla Scala. Il tema esordiva così: le uova marce non sono idee. E la prof me lo corresse con matita blu chiosando: le uova marce non sono delle idee. Se permettete, l’avevo scritta meglio io. Per carità, apprezzo il film di Giordana, lunghezza a parte. Mi piace la vivacità di alcuni sessantottini. E capisco che deve essere inevitabile ricordare con nostalgia e languore quei giorni effervescenti, soprattutto se all’epoca si era studenti e benestanti e non poliziotti o professori. Deve essere stato bello, elettrizzante, sognare in gruppo, da svegli, un altro mondo. A dire la verità, il ’68 per me fu un anno magico ma per un’altra ragione: la Fiorentina che amavo alla follia volò, sulle ali di Hamrin e Albertosi, verso lo scudetto. Ero
viola dalla gioia. Ma è colpa o merito del ’68 se diventai di destra e passai alla minoranza oscena che andava contromarcia.

Vivevo al Sud, in provincia, e la contestazione arrivò da noi in differita, rallentando ai tornanti. Perciò beccai il ’68 in faccia. Sono convinto che si diventa adulti opponendosi a qualcosa o a qualcuno: i sessantottini contestarono i loro padri, io, con altri sciamannati, preferii contestare il mio tempo. Loro dissero basta alla società dei padri, nel senso multiplo di genitori, padroni, matusa, autorità, Patria e Padreterno. Io preferii rivoltarmi contro il presente, la demagogia montante, la trasgressione esibita, il
giovanilismo, l’odio verso la tradizione. Più tardi, con gli effetti deleteri degli anni Settanta, rafforzai al liceo la mia convinzione. E lessi libri osceni, da Evola a Del Noce, passando per Mishima e Pasolini, che mi dettero argomenti in più contro il ’68. Non ci crederete, ma le cose che pensavo quasi da bambino su per giù continuo a pensarle anche adesso. Scrissi anche un libro anti-sessantotto. So che per i sessantottini scaltri la coerenza è la virtù degli imbecilli, ma io ci tengo a questa dignitosa imbecillità.
Della contestazione giovanile mi colpì solo un evento noto: il sacrificio di Jan Palach a Praga davanti ai carri armati sovietici. Non condivisi il gesto, ma lui il ’68 l’aveva vissuto sulla propria pelle. Il ’68 riuscì come rivolta dei costumi, fallì come rivoluzione politica e sociale. La borghesia restò al suo posto, facendosi solo meno cristiana e più sbarazzina, Agnelli e Pirelli restarono lì, la Dc non si schiodò dal potere, gli americani, nonostante il Vietnam, continuarono a dettare legge al mondo. In cambio mutarono i costumi, la morale, il sesso, la famiglia, il linguaggio. Il ’68 non abbatté il potere che contestava ma contribuì ad eliminare gli ultimi argini che si opponevano al dominio globale del neo-capitalismo e alla società nichilista e consumista. Capisco invece nei sessantottini una tenerezza verso i propri vent’anni, la voglia di restare giovani e la tristezza di passare dall’adolescenza alla senilità senza passare per la maturità. Mi diverte invece pensare che da quando sono state bandite a destra le ultime sacche di nostalgia politica, gli unici nostalgici superstiti sono rimasti loro, i sessantottini. Da ragazzi sognavano il domani che cantavano; adesso cantano messa al loro passato.

*http://ilmessaggero.caltanet.it/view.php?data=20031208&ediz=01_NAZIO
NALE&npag=1&file=VENEZ.xml&type=STANDARD



«La meglio gioventù» vista in famiglia: riscoperta un' Italia ribelle e senza noia
Roberto Vecchioni si confronta con i figli sul ' 68. «Oggi vi manca la voglia di combattere»
di Polese Ranieri
Il Corierre della Sera,  Pag. 37
domenica, 7 dicembre, 2003

Una famiglia italiana, in casa, a guardare in tv decenni di storia italiana. Ovvero, a guardare La meglio gioventù, il film di Marco Tullio Giordana che racconta gli anni prima belli poi furenti poi terribili che vanno dal 1966 alla fine dei ' 90. Prodotto dalla Rai, mai trasmesso finora in tv, quel film è stato premiato a Cannes e poi ha avuto una vita fortunata nelle sale cinematografiche nella scorsa estate, le oltre sei ore divise in due parti. Disponibile anche in dvd, sta vendendo assai bene. Ma ora, La meglio gioventù arriva sul teleschermo, proponendosi alla lettura per cui era stato concepito, in casa, con un pubblico familiare non obbligato al buio e al silenzio del cinema, e che osserva, parla, commenta, favorendo il dialogo tra chi c' era e chi non era ancora nato. La casa è a Milano, in via della Moscova. Da fuori la si riconosce per le bandiere della pace sul balcone e un grande lenzuolo bianco con scritte contro la guerra. «È stato il primo della strada» dice la madre. «Ancora non c' erano le bandiere colorate, lo fece Carolina». Carolina ha vent' anni, frequenta il terzo anno di architettura, «ma ora con il mio fidanzato ho aperto un negozio di oggetti africani». Di lei, sei anni fa, scrissero le cronache dei giornali: faceva una festa di compleanno con amici e compagni di classe. Poi, non invitati, si presentarono dei teppisti minorenni che entrarono, sfasciarono la casa, rubarono, terrorizzarono tutti. I genitori fecero denuncia, «contro ignoti» dicono, perché venisse fuori il fenomeno delle violenze giovanili. I genitori sono Roberto Vecchioni, professore cantautore e scrittore, e Daria Colombo, giornalista, attivista nei movimenti contro il governo Berlusconi, tra le prime protagoniste dei girotondi. Insieme con altri cittadini, manifesta in questi giorni davanti alla Rai di Corso Sempione: «Un presidio della libertà d' informazione, un invito a Ciampi perché non firmi la legge Gasparri». In famiglia, pronti a mettersi davanti alla tv, ci sono anche altri due figli, Arrigo, 17 anni, liceale al Parini, e Edoardo detto Dodi, 11, prima media («lingua straniera: tedesco» dice poco contento). Arrigo («come Sacchi, purtroppo» commenta l' interista appassionato), a scuola, ha appena terminato un esperimento di «autogestione»: sa che queste forme alternative di studio nacquero nel Sessantotto. Di quegli anni ha sentito parlare in casa, anche Carolina. Ma sono cose che paiono lontane. Dodi sta preparando il presepe nell' ingresso, protesta perché il fratello maggiore sposta le montagne di cartapesta. Manca solo la più grande, Francesca, figlia di un precedente matrimonio di Vecchioni: sta lavorando, non poteva venire. Nessuno ha visto il film in sala, ne hanno sentito parlare, sono curiosi. Partono i titoli di testa, Eric Burden intona «The House of the Rising Sun»: «Era una canzone famosissima», dice Roberto ai figli. E più volte sarà lui a far commenti sulla colonna sonora che segue con precisione il corso degli anni. Per tutta la prima parte, estate-autunno del ' 66, Vecchioni padre s' identifica con Matteo (Alessio Boni): quando se ne va dall' esame in polemica con il professore di letteratura italiana, dice, «mi ricorda com' ero io, gli scatti che avevo, l' aria da intellettuale pieno di paturnie». Presto, però, Matteo mostra di essere abitato da traumi e angosce che lo porteranno a chiudere tragicamente con la vita: «Un po' come Luigi Tenco - commenta - anche lui era il migliore di tutti noi, ma aveva una disperazione dentro che non gli ha permesso di farcela». Il lungo prologo che conduce all' inizio delle rivolte studentesche offre a Roberto l' occasione di ricordare ai figli com' era bella la vita prima della rivoluzione. «Vestivamo tutti con la giacca, pochissimi jeans, ma c' era una gran voglia di cambiare tutto, di chiudere con la cultura - musica cinema letteratura - dei padri. Non c' era ancora la politica, ma sentivamo grandi impeti. E poi ci si trovava sempre tutti nei posti dove era giusto essere, come nel film l' alluvione di Firenze. In quegli anni non c' era la noia». Quella noia che invece oggi si vede in tanti ragazzi, e che li spinge alla distruttività, a un disordine che non porta valori, rinnovamento. «Ci sono pochi giovani nei girotondi, che appunto si formano per difendere i nostri diritti» dice Daria. «Ma i ragazzi di oggi sono nati con i diritti già acquisiti, non sanno che trent' anni fa non c' erano le libertà che loro oggi hanno». «Non hanno battaglie vere da combattere», aggiunge Vecchioni. «Forse noi genitori democratici abbiamo fatto un torto ai figli: siamo stati troppo democratici, gli abbiamo tolto il conflitto». E i ragazzi Carolina, Arrigo e Dodi, che dicono? Dodi, prima di tornare al suo presepe, dichiara: «Non mi piace il calcio» (in quel momento il film mostra l' Italia eliminata dalla Corea nel Mondiale del ' 66). «È troppo violento». Arrigo s' identifica con Nicola (Luigi Lo Cascio) che, sempre in quell' estate felice, se ne va da solo in Norvegia. «Con un amico sono andato a lavorare a Los Angeles, in un ristorante» racconta. «Poi, con i soldi guadagnati, mi sono pagato le vacanze in Grecia. Ho incontrato dei ragazzi che mi hanno dato una mano: sul traghetto per Ancona, dei polacchi mi hanno pagato la cena. Sbarcato, i soldi per il treno me li ha prestati un ghanese, si è fidato di me». Carolina si è lasciata subito prendere dal film. «Avevo letto dei libri sul Sessantotto: ma lì mi faceva l' impressione dei tempi di Carlo Magno, qui tutto è reale. O, come dice papà, questi personaggi sembrano tutti delle persone che conosciamo bene, che sono reali». Sorridono, i ragazzi, quando vedono cose che non ci sono più: «La Cinquecento aveva una portiera che si apriva in quel modo: che buffo!». E il juke-box che trasmette Fausto Leali («A chi») lo associano a Fonzie e a «Happy Days». Mentre Arrigo, osservando i rituali della caserma in cui Matteo fa il militare, commenta: «Proprio come in Full Metal Jacket». «Però qui è tutto oggettivo, vero» è ancora Carolina che parla. «Forse ci voleva una distanza di tempo per raccontare le cose: mi sembra quasi che io, oggi, forse le capisca di più di quelli che allora le hanno vissute». Vecchioni riapre il suo quaderno di memorie: «Mi sono laureato nel ' 68, poi ho fatto il servizio militare. Nel ' 69 ho scritto "Luci a San Siro". Tre anni dopo insegnavo al Beccaria, stavo con gli studenti di sinistra». Cosa resta, oggi, dei sogni di allora? «Noi, che eravamo giovani in quegli anni, ce lo chiediamo ancora. Questo film è utile anche per noi, non solo per chi come i miei figli non era ancora nato». Ranieri Polese Oggi in tv LA TRAMA Tutto comincia nel 1966: si seguono le vicende della famiglia Carati, e in particolare dei due fratelli Nicola (Luigi Lo Cascio) e Matteo (Alessio Boni), attraverso 40 anni di vita italiana, passando per grandi eventi come l' alluvione di Firenze, la lotta alla mafia, i Mondiali di calcio, il terrorismo, le Brigate Rosse, la crisi degli anni ' 90. AL CINEMA Sul grande schermo «La meglio gioventù» ha incassato oltre due milioni e mezzo di euro. Ha vinto il primo posto nella sezione «Un certain regard» all' ultimo festival di Cannes. La pellicola è stata prodotta da Angelo Barbagallo per Rai Fiction. IN TV Quattro decenni in 4 appuntamenti su Raiuno: stasera, domani, domenica 14 e lunedì 15 in prima serata. Spettatori ROBERTO 60 anni, cantautore, si laurea nel ' 68, insegna materie letterarie in un liceo milanese, da tre anni tiene corsi all' Università di Torino. L' anno prossimo andrà in pensione. DARIA 48 anni, la signora Colombo, moglie di Vecchioni, nel ' 98 ha preso parte a una trasmissione di Raitre che raccontava il ' 68. E' una delle fondatrici del movimento dei girotondi. CAROLINA 20 anni, primogenita, terzo anno di architettura. Ha aperto con il fidanzato un negozio di oggetti africani. ARRIGO 17 anni, seconda liceo classico, al Parini, interista, ha lavorato in un ristorante a Los Angeles. EDOARDO 11 anni, detto Dodi, prima media, studia il sassofono e scrive romanzi gialli.



 
 

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